A vent’anni ho intrapreso un percorso che considero la scelta più felice della mia vita: l’adozione della lingua italiana. Negli anni, una parola dopo l’altra, ho potuto avvicinarmi sempre di più alla letteratura e alla scrittura. Sono nati — e continuano a nascere — testi imperfetti in una lingua che non mi appartiene, ma che mi ha sempre ispirato a crescere e a sognare. Qui ho raccolto alcuni esperimenti che considero riusciti per il semplicemente fatto che contengono un pezzettino del mio cuore. Buona lettura!

Sognare le ali

Quando ero piccola pensavo che fosse possibile farsi crescere le ali. Ero convinta che qualsiasi sogno potesse realizzarsi e che crescere significasse ottenere ogni superpotere desiderato. All’epoca ero ossessionata dagli animali, in particolare mi piacevano gli uccelli, soprattutto le aquile, i falchi e le civette. Dondolavo per ore e ore sulla mia altalena nell’orto della mia famiglia. Nessuno sapeva che in realtà mi stavo allenando per il volo, anche se solo nella mia immaginazione. Per me gli uccelli erano le creature più maestose del pianeta e ovviamente volevo diventare una di loro. Se da piccola avessi avuto le ali, sarei volata dall’altra parte del mondo. Invece ero rimasta a dondolare sulla mia altalena. Crescendo non sono diventata né un’aquila né mi sono cresciute le ali. Però ancora oggi sono affascinata dal volo e dagli uccelli.

Qualche settimana fa ho trovato un piccione che non riusciva più a volare. Non ero sicura se avesse bisogno di aiuto o se si potesse riprendere da solo. Poi ho pensato che fosse meglio agire invece di non fare niente. Immaginavo che non fosse in grado di difendersi se fossero arrivati un cane o un gatto. Sono corsa a casa per prendere una scatola e sono tornata al posto dove avevo trovato il piccione. Si era rannicchiato in un angolo e sembrava privo di forze. L‘ho preso con cura e l‘ho messo nella scatola. Nel frattempo avevo già contattato i volontari della Stadttaubenhilfe (associazione che aiuta i piccioni) che poi hanno portato il mio piccione dalla veterinaria. Mi hanno detto che avevo reagito correttamente. Dall‘esame è emerso che il piccione non stava affatto bene. Uno dei volontari ha portato il piccione in una voliera dell‘associazione, dove vengono curati anche altri piccioni malati. Dopo alcuni giorni in cui non era chiaro se il piccione sarebbe sopravvissuto, ho ricevuto la notizia: si è ripreso e sarà presto rilasciato. Se non avessi prestato attenzione quel giorno, sicuramente non ce l‘avrebbe fatta.

Dopo questa storia ho pensato che non fosse poi così male avere le mani al posto delle ali. Mi sono unita all‘associazione che si prende cura dei piccioni in città e così, da adulta, ho ritrovato la mia passione per gli uccelli, soprattutto per quelli che vengono particolarmente trascurati. Credo che valga la pena salvare ogni vita, non importa quanto sia piccola.

__________

La conchiglia

Camminava lungo la spiaggia in cerca di una melodia. Le onde si riversavano e si ritiravano sulla sabbia. Sembravano il respiro di un gigante che cambiava forma. Ogni tanto raccoglieva una conchiglia e la teneva all’orecchio, per sentire se ci fosse una canzone dentro. Niente. Il vento continuava a giocare con le onde, che rubavano le orme che aveva lasciato. Prese un’altra conchiglia, una particolarmente bella, con linee arancioni e curve armoniose. Pareva il lavoro di un artigiano che aveva dedicato la vita alla creazione di queste strane forme.

Quando era piccolo, sua madre gli raccontava delle fiabe. Quelle che parlavano del mare erano le sue preferite. Sembravano mondi paralleli abitati da creature favolose, creature che inseguivano piani segreti, provenendo dal punto più profondo dell’oceano, dove i regoli degli uomini non si applicavano.

Lei diceva:
— Ogni giorno, sulle spiagge, avviene un baratto tra l’uomo e il mare. Le onde ci lasciano conchiglie in cambio delle orme. Le conchiglie sono state fatte a mano da un uomo sull’Isola d’Elba e le ha dipinte una donna…

Però era solo una storia, una delle leggende del suo paese che, con il passare degli anni, aveva perso la sua magia. Pensava che le conchiglie custodissero i loro segreti e non li lasciassero sentire a chi vive solo nella dimensione della ragione. Camminando vide una barca, ancorata vicino alla riva. Galleggiava quasi immobile, come se stesse aspettando qualcuno. C’era un uomo anziano a bordo, con la pelle bruciata dal sole e uno sguardo che sembrava conoscere il fondo delle cose.

Il ragazzo si avvicinò alla barca. Sul fianco, in lettere sbiadite, c’era scritto: Surprise.

L’uomo lo fissò e disse, brusco:
— Che c’hai? Hai visto un fantasma?
— Ah, no — rispose il ragazzo. — È solo che… sono affascinato dalla barca. E dal mestiere. Diventano sempre meno i pescatori di una volta…

L’uomo alzò un sopracciglio.
— Io non sono un pescatore. I pesci sono miei amici, da sempre. In realtà faccio le conchiglie. Vedi queste?

Prese una cassetta piena di gusci bianchi, tutti uguali.
— Modello standard. Due mesi per una. Tre, se c’è vento contrario. È un lavoro faticoso. Estenuante.

— Wow, che bel mestiere… — disse il ragazzo, sincero.

Il vecchio scosse la testa.
— Bah! Alla fine viene solo disgusto. Odio, perfino. Butto tutto in mare. E finisce lì.

Il ragazzo rimase in silenzio. Poi l’uomo aggiunse, con voce più dolce:
— Ce n’era una, sull’isola del Giglio. Le dipingeva, sai? Tutte diverse, tutte strane. Poi un giorno ha detto che voleva fare qualcos’altro da grande.

— Da grande! Che strano modo di dire… come se ci fosse un momento preciso in cui si diventa qualcosa. Ora cosa fa?

— Ora suona l’arpa dalla mattina alla sera. E non chiede più nulla a nessuno.

Il ragazzo rise piano. Ma chi erano, questi pazzi? Che non facevano niente di utile?

Il vecchio lo guardò serio.
— E tu? Cosa vuoi fare da grande?

Il ragazzo esitò.
— Ma che domanda stupida… Sono già grande. Solo che… non ho ancora trovato la mia strada.

L’uomo alzò le spalle, con un’espressione amara.
— Non esistono strade giuste. Solo punti di partenza. Uno dopo l’altro.

Il ragazzo si sentì spiazzato. Quel vecchio non sapeva niente di lui, delle sue battaglie, del suo tempo che scivolava via. Ma l’uomo colse il suo sguardo smarrito e disse:
— Tu cosa cerchi? Ti ho visto guardare la sabbia come se ci fosse scritto qualcosa.

Il ragazzo arrossì.
— Ah, niente di particolare… — poi prese coraggio — Cercavo solo delle conchiglie che contengono canzoni.

Il vecchio sorrise.
— Ah, quelle. Servono orecchie speciali.

Continuò a camminare sulla spiaggia, con una nuova leggerezza. Le mani trasparenti delle onde continuavano a prendersi le orme, cancellando i suoi passi. Raccolse un’altra conchiglia, grande, a spirale, simile al guscio di una lumaca di mare che aveva abbandonato la sua casa. La portò all’orecchio. Per un attimo, sentì un sussurro. Era la voce della donna che le aveva dipinte? Sorrise e poi corse verso casa, le scarpe in mano e la sabbia fra le dita. Non sapeva ancora cosa volesse fare da grande — ma sapeva che aveva una canzone da scrivere. E una voce che lo guidava, sussurrandogli di portarla lontano, di farla arrivare in tanti porti.

ispirato dalla canzone Cosa faremo da grandi? di Lucio Corsi