Cara Sirena,
l‘8 marzo marca il giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta. Avevo vent‘anni ed è ormai un decennio che mi richiami. Seguendo il tuo canto, mi hai spesso salvato da me stessa. La decisione di viaggiare da sola per la prima volta non era per niente scontata. Sono convinta che non sarebbe successo se non avesse vinto la forte curiosità e una volontà gigantesca di voler accertarmi che esistessi davvero. Non bastava più che fossi qualche punto su una mappa che conteneva storie che mi avevano profondamente colpita, da Pompeii fino a Gomorra, storie che erano diventate anche le mie. Era l‘inizio di una primavera, quella del 2015, sono arrivata di domenica, e il tassista mi faceva gli auguri per la festa della donna. Il mio sguardo seguiva la sagoma del tuo vicino maestoso, un‘immagine antica sotto cui il traffico si muoveva con la noncuranza di chi non è consapevole a cosa va incontro. È diventato il giorno del nostro anniversario segreto.
Ricordo di essere andata al corso d‘italiano sotto lo sguardo incuriosito degli angeli di Žilda nel Vico di Santa Maria dell‘Aiuto. In città si respirava l‘aria dell‘appocundria, era appena morto Pino Daniele. A scuola abbiamo cantato Napul‘è che poi ho imparato a memoria come se fosse un rito di ammissione per poter iniziare una storia con le parole giuste. Avevo una stanza nel centro storico da un signore anziano che raccontava, con la pazienza di chi è abituato a non essere capito, che veniva da Ischia, “l‘isola dei tedeschi“. Ospitare chi studiava l’italiano era il suo modo per vedere il mondo. Nella stanza accanto c’era un ragazzo tedesco un paio di anni più grande di me che aveva l‘aria di una persona di cui ci si può fidare facilmente e parlava un italiano migliore del mio. Il mio era appena nato e faceva fatica. Esploravamo i quartieri e tu sembravi ferma nel tempo: le botteghe sopravvissute al secolo scorso, gli ascensori che salivano solo con monetine, e le cappelle votive che seguivano i nostri passi con i loro occhi tremolanti. La notte non riuscivo a dormire, frasi italiane invadevano i miei pensieri per ricalibrarli e mi tenevano sveglia. Una delle insegnanti un giorno mi chiese con aria scherzosa: „Non hai paura visto che Napoli è una città così pericolosa?“ E sì, avevo paura, la paura di una ventenne timida che faceva i primi passi per conquistare una lingua che non le apparteneva e dei vicoli che sembravano l‘androne delle case, uno spazio privato, con lenzuola che svolazzavano sopra la mia testa ed emanavano un forte odore di detersivo. Quasi mi sentivo un‘intrusa, ma una che tornava per diventarti amica.
Quando ero fisicamente lontana da te, tornavo a cercarti nei libri, nei film, nelle canzoni. È una condizione con cui non mi sentivo mai sola perché siamo in tanti che ti sognano e hai il talento di trasmettere qualcosa che attraversa i secoli, chissà che cos‘è, non lo voglio nominare, è meglio così. Dal maggio 2017 un musicista che si fa chiamare Liberato, iniziava a pubblicare la colonna sonora dei miei ricordi di te, e i pensieri volavano. Imparavo a conoscerti attraverso gli occhi di tanti scrittori che hanno provato a catturarti, quelli che affermavano che non sei affatto ambientata al mare, quelli che ti lasciavano affogare in un diluvio, quelli che avevi ferito a morte. Poi c‘è chi ha studiato più di due secoli fa nel posto da cui sono partita, che ha scritto che non può essere mai del tutto infelice chi può ritornare col pensiero a te.
L‘ultima volta, ho detto che non riesco a visitare altri luoghi perché ogni volta che posso, preferisco tornare da te. Camminando per le tue strade mi sento protetta. Protetta dalla meraviglia di ripercorrere strade che negli anni dei ritorni sono diventate anche le mie, dalla fiducia di trovare sempre qualcuno che è disposto a mostrarmi la strada giusta da prendere, a volte basta uno sguardo un po‘ smarrito e qualcuno ti viene in soccorso, per arrivare al prossimo mistero che mi sta aspettando in qualche vicolo o sotto terra o sopra i tetti con lo sguardo che riposa sul mare. Dalla soddisfazione di essere, un‘altra volta, nel posto giusto al momento giusto, ed è questa convinzione che placa i sogni ad occhi aperti che mi assalgono durante il resto dell‘anno.
Però rischio di rendermi ridicola chiamandoti il mio rifugio. Tu, che spesso non sogni nulla per i tuoi figli. Penso a quel ragazzo che è stato cacciato via perché la sua accusa, nata per difenderti, era stata letta da troppi. È lui che mi ha insegnato ad amarti con gli occhi dell‘empatia che va oltre ogni confine, quelli di chi crede che meriti di meglio. Penso ai quattro ragazzi che nel solo mese di novembre scorso, il mese che ho passato andando avanti e indietro tra Materdei e Corso Umberto I per studiare e per dimenticarmi delle preoccupazioni tedesche, hanno perso la vita e non sono nemmeno arrivati ai vent‘anni. Ricordo i biglietti lasciati da amici e compagni a pochi passi dalla scuola e il funerale accanto al museo che avevamo visitato e tutto quello che abbiamo passato imbianchisce di fronte alla realtà. Sono capitati al posto sbagliato nel tempo sbagliato, sogni frantumati o nemmeno possibili.
L‘ultima volta che ti ho lasciato, mi hai salutato col cielo coperto. Una nuvola pesante avvolgeva il tuo vicino maestoso che sembrava rassegnato. Facevi finta che fossimo in un film solo per noi. Ho condiviso la tua foto nella chat della scuola: „È proprio la tua città!“, mi hanno scritto ed ero felice perché trovo divertente quel tipo di ricatto emotivo. Sopra Capri spuntava un raggio di sole per addolcire il finale. Camminando sul lungomare con Liberato nelle cuffie ho immaginato come sarebbe stato se io fossi rimasta qui, con te, se il nostro film avesse continuato a scorrere. Sono tornata a sognarti, a leggerti, a osservarti da lontano e a chiedermi quando ci rivedremo. Tu, invece, non ti fai mai questa domanda, stai lì ad aspettare senza fretta, mi hai visto crescere e pian piano prendere un pochino più confidenza con una delle tue lingue, inciampo sempre ma non ti perdo di vista. Dici che non scappi e che sei casa mia, se lo voglio. Forse è una bugia ma una di quelle che si travestono da verità ogni volta che sogno e realtà coincidono per un attimo.
Fino al nostro prossimo capitolo, sognando un altro domani.
Anika
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Questa lettera è nata per il concorso “Lettera d’amore a Napoli”, organizzato dalla libreria IoCiSto e dall’associazione culturale AbruzziAMOci ODV. È stata riconosciuta con una menzione speciale da Maurizio de Giovanni. L’iniziativa completa è qui.
